IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa di lavoro instaurata da S.p.a. Stefania (con avv. Daniotti presso Barbieri) contro Consiglio di Fabbrica (con dott. proc. Paladin presso Cisl) e con l'intervento di Merotto-Giotto-Casagrande (con avv. Daniotti presso Barbieri). OSSERVATO IN FATTO La S.p.a. Stefania, industria dolciaria, di Farra di Soligo, in relazione alle sue necessita' produttive caratterizzate da fluttuazioni periodiche in quanto circa l'80% della sua produzione veniva ordinata con commesse trimestrali e settimanali dalla Barilla, poiche' sussistevano nello stabilimento le condizioni di legge legittimanti la prestazione del lavoro notturno femminile, chiedeva al consiglio di fabbrica il consenso previsto dal secondo comma dell'art. 5 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, perche' fosse rimosso il divieto legislativo previsto dal primo comma dell'articolo citato alla adibizione delle donne, che costituivano buona parte del personale dipendente, al lavoro notturno. Diversamente da precedente situazione, il c.d.f. non si prestava, assumendo un comportamento dilatorio, a dare in tempo l'adesione per consentire la comunicazione congiunta all'Ispettorato del Lavoro di cui al secondo comma dell'articolo citato. Risulta che tale mancata stipula di contratto aziendale relativo alla questione del lavoro notturno femminile andava rapportata alla sostenuta indisponibilita' dell'azienda di addivenire ad una seria trattativa su importanti questioni aperte dal sindacato quali il superamento del precariato e della stagionalita' delle assunzioni cui l'azienda ricorreva da molto tempo in maniera ritenuta eccessiva e contra legem. A fronte del mancato accordo la societa' ricorreva ex art. 700 al giudice il quale la autorizzava "ad eseguire lavoro notturno femminile per il periodo 5 agosto 1985 - 14 settembre 1985". Confermato quindi il decreto con ordinanza, la S.p.a. Stefania instaurava il giudizio di merito chiedendo l'emissione di sentenza che tenesse luogo della comunicazione congiunta all'ispettorato del lavoro e/o del contratto collettivo aziendale non concluso di rimozione del divieto al lavoro notturno femminile per il periodo indicato nonche' per periodo precedente espletato senza il citato consenso con esposizione alle sanzioni penali di cui all'art. 15, settimo comma, della legge citata, in quanto il rifiuto del c.d.f. a prestarsi alla stipula era illegittimo perche' "determinato da motivi non attinenti all'eventuale inidoneita' dell'ambiente di lavoro e dei servizi e quindi alle esigenze di tutela prefissesi dalla legge con l'art. 5". Il c.d.f. costituendosi in giudizio, lamentato che il provvedimento del giudice aveva un contenuto non consentito in quanto consisteva nella rimozione di un divieto previsto dalla legge, chiedeva il rigetto della domanda in quanto non sussisteva un obbligo di stipula del contratto di deroga attesa l'insindacabilita' delle scelte di politica aziendale del sindacato. Intervenivano nella causa le lavoratrici Merotto-Giotto-Casagrande le quali sostenevano la domanda della societa' lamentando che a causa del mancato consenso del c.d.f. alla stipula del contratto di deroga la azienda non aveva potuto ammetterle al lavoro notturno per il periodo 16 settembre - 19 ottobre 1985 al quale esse si erano offerte volontariamente "avendo interesse a fruire di maggior tempo libero durante la giornata e a percepire la retribuzione maggiorata spettante a chi svolge lavoro notturno" e che tale loro diritto era stato confiscato da sindacato cui non avevano delegato alcun potere. Nel corso della istruzione probatoria della causa veniva disposta consulenza tecnica la quale acclarava che poiche' la produzione dello speciale prodotto richiesto alla ricorrente dalla Barilla "poteva svolgersi solo su l'unica linea attrezzata", c'era "la necessita' di un ulteriore turno di lavorazione, oltre ai due gia' in essere, e quindi notturno"; che le condizioni ambientali di lavoro (temperatura, illuminazione...) e l'organizzazione dei servizi (gabinetti, spogliatoi divisi per sesso, presenza apparecchi per riscaldamento vivande...) erano idonei alla prestazione del lavoro notturno; che le lavoratrici adibite a tale turno erano "tutte volontarie anzi richiedenti di effettuare turni di notte". Nel ricorso la societa' chiede in via pregiudiziale che venga dichiarata non manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalita' dell'art. 5 della legge 5 dicembre 1977, n. 903, per violazione degli artt. 2, 3, 37, 39, 41 e 42 della Costituzione. Il pretore ritiene fondato il sospetto di illegittimita' costituzionale del primo e secondo comma dell'art. 5 della legge citata nei termini che seguono e, pertanto solleva la relativa questione, premesso che la ammissibilita' per rilevanza e' di tutta evidenza in quanto, come emerge dalla narrativa che precede, la vertenza sussiste perche' vigono il primo e secondo comma dell'art. 5 della citata legge n. 903/1977. RITENUTO IN DIRITTO L'art. 12, primo comma, della legge 26 aprile 1934, n. 653, disponeva che "nelle aziende industriali... e' vietato il lavoro di notte per le donne". La norma e' stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con sentenza 24 luglio 1986, n. 210, perche' "il divieto di lavoro notturno comminato a carico delle donne arreca offesa all'art. 37, primo comma, della Costituzione il quale riconosce alla donna lavoratrice gli stessi diritti dell'uomo...". Nel frattempo era entrata in vigore la legge 9 dicembre 1977, n. 903, che al primo comma dell'art. 5 ribadisce il divieto consentendo diversamente dalla precedente disciplinaa la deroga per contratto collettivo anche aziendale al divieto legale. Con la sopracitata sentenza la Corte costituzionale espressamente precisava che essa in quell'occasione non poteva farsi carico dell'art. 5, primo comma, della legge n. 903/1977 "perche' entrato in vigore il 1 gennaio 1978 e, quindi, inapplicabile alla vicenda che ha offerto occasione all'incidente". Ora la concretezza della vicenda sostanziale e processuale in decisione presso questo pretore impone di sottoporre all'esame della Corte costituzionale la questione della legittimita' costituzionale del primo e secondo comma dell'art. 5 della legge n. 903/1977 con riferimento rispettivamente all'art. 37, primo comma, e 39, della Costituzione. Infatti la nuova norma per cui "nelle aziende manifatturiere, anche artigianali, e' vietato adibire le donne al lavoro dalle ore 24 alle ore 6" e' sostanzialmente identica (ed anzi, secondo opinione dottrinale, il divieto di lavoro notturno femminile risulterebbe nella nuova disciplina piu' rigido che nella precedente) al disposto della precedente legge dichiarato costituzionalmente illegittimo. Ne' la possibilita' della rimozione del divieto a mezzo contrattazione collettiva anche aziendale modifica la sostanza della questione in quanto se dopo la sentenza della Corte costituzionale deve ritenersi un diritto soggettivo perfetto per la donna (come per l'uomo) quello di prestare lavoro notturno, non e' ancora tale per la donna se esso puo' essere esercitato solo in presenza di un contratto concluso secondo le regole del diritto privato da organismi che non hanno la rappresentanza legale di tutte le lavoratrici. Pertanto, poiche' il precetto dell'art. 37, primo comma, della Costituzione e' ispirato ad una concezione della persona umana non condizionato nella sua liberta' di lavorare dall'appartenenza all'uno o all'altro sesso; poiche' le sole limitazioni al diritto di prestare attivita' lavorativa per le donne ai sensi della seconda parte del primo comma dell'art. 37 della Costituzione per cui le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della essenziale funzione familiare della donna lavoratrice ed assicurare ad essa in quanto anche madre ed al bambino una adeguata protezione sono gia' previste dall'ultimo comma dell'art. 5 della legge in argomento che vieta sempre il lavoro notturno "per le donne dall'inizio dello stato di gravidanza e fino al compimento del settimo mese di eta' del bambino"; poiche' nessun lavoro puo' essere inibito alle donne in ragione della loro particolarita' di essere donne; poiche' dette particolarita' fisiche non sono ragioni sufficienti per differenziare il loro trattamento di lavoro solo sulla base di esse; poiche' la sostanziale ragione e giustificazione del divieto consiste nella opportunita' di protezione di un organismo ritenuto piu' debole ma poiche' tale ratio produce chiari effetti discriminatori (es. diritto ad una flessibilita' dell'orario di lavoro secondo personali esigenze), il pretore rimette l'esame del divieto alla Corte costituzionale. I dubbi ed i sospetti di incostituzionalita' appaiono avvalorati dalle esclusioni dal divieto per le donne che operano a livello direttivo e nei servizi sanitari anche per attivita' meramente ausiliarie e soprattutto per la esclusione delle aziende non manifatturiere tra le quali rientrano quelle che producono servizi, le imprese estrattive e di installazioni di impianti. La societa' ricorrente e le tre intervenute nel processo sollevano altresi' la questione di illegittimita' costituzionale del secondo comma del citato art. 5 perche' "i contratti collettivi conclusi dalle rappresentanze sindacali o aziendali dei lavoratori, applicandosi a tutti gli addetti all'unita' produttiva iscritti o non iscritti ai sindacati stipulanti o comunque dissenzienti dalla determinazione del c.d.f. avrebbero in pratica una sfera di efficacia erga omnes nell'ambito aziendale mentre tale efficacia e' riservata dall'art. 39 della Costituzione ai soli contratti collettivi stipulati dai sindacati registrati". Il pretore accoglie la domanda e solleva la questione nei termini esposti. Infatti poiche' l'ordinamento costituzionale prevede che l'organizzazione sindacale sia libera a garanzia del pluralismo e poiche' l'efficacia del contratto collettivo si basa sul consenso sia pure mediato dalla rappresentanza, poiche' detto fondamento volontario importa che i sindacati costituiti non impongano le proprie scelte e la propria contrattazione a chi di essi non faccia parte, poiche' solo i sindacati registrati "possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce" (art. 39, ultimo comma, della Costituzione), poiche', quindi, il sindacato attualmente a termine della normativa costituzionale e' privo della rappresentanza legale della categoria, e' da rimettere alla Corte costituzionale la questione se sia legittima la facolta' riconosciuta al sindacato di privare, non prestandosi al consenso, del diritto di prestare lavoro notturno anche per le donne non iscritte al sindacato e con esso sulla questione dissenzienti.